STEP2) DIACRONICAMENTE


ETICA


Dal greco ÈTHOS, ovvero 'abitudine', che indica la maniera in cui si sta o si abita e deriva dalla radice 'sve-' sanscrita di 'svadha' (=consuetudine) che attraverso la modificazione  di un affisso particolare diviene appunto ethos.
Da qui il latino ÈTHICA e il  greco ĒTHIKÁ che letteralmente significano 'relativa al costume'.
Inoltre, questa stessa radice suddetta, subisce un'ulteriore modificazione fonetica e diviene in greco 'idios' che significa 'proprio' nel senso di personale.
Allora l'etica riguarda il comune, la relazione tra gli uomini.
Da questa stessa radice discendono vocaboli di parentale come cognato, sorella del cognato, che dimostrano comunque come l'etica sia il sistema di relazioni in cui noi nasciamo e che non è deciso da noi stessi.
Dentro questo sistema appare l'idios, ovvero l'io in rapporto a me stesso.
Dunque l'etica è un appartenere a, un essere parte e un appartenersi.
Nell'appartenersi dobbiamo divenire padroni delle nostre passioni, padroni della nostra potenza, per evitare che questa potenza si svolga a danno degli altri, distruggendo l'ambiente in cui si vive e perfino le proprie possibilità di esistere.

Approfondendo, etica è spesso collegato al termine morale.
Spesso etica e morale sono usati come sinonimi e in molti casi è un uso lecito, ma è bene precisare che una differenza esiste: la morale corrisponde all'insieme di norme e valori di un individuo o di un gruppo, mentre l'etica, oltre a condividere questo insieme, contiene anche la riflessione speculativa su norme e valori. Se la morale considera le norme e i valori come dati di fatto, condivisi da tutti, l'etica cerca di dare una spiegazione razionale e logica di essi.  (https://it.wikipedia.org/wiki/Etica)
Infatti nel corso della vita, l'uomo è sottoposto a condizionamenti psicologici, biologici e socioculturali; ma deve saper riconoscerli, valutarli, accettarli o respingerli.
Ed è in questa attività, riflessione etica, che l'uomo si realizza come essere morale.





Cominciò appunto nell'antica Grecia, dove i primi a parlare di comportamento etico furono Socrate ( oggi definito 'padre fondatore dell'etica')  e i sofisti; il primo affermava con la sua filosofia morale che l'uomo compie volontariamente solo le azioni che sono da lui classificate  come 'buone' e che il bene universale viene dunque raggiunto con la ragione, mentre i secondi sostenevano l'idea che non esistesse un'etica universale e quindi accreditavano la frase di Protagora "l'uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono per ciò che sono e di quelle che non sono per ciò che non sono".
Presto anche l'allievo di Socrate, Platone, diede una sua interpretazione dell'argomento scrivendo che l'uomo che riesce a conoscere e vedere, nel mondo trascendente, l'idea di bene, giunge alla pura felicità.
Platone giunse anche a una conclusione di tipo politico, ovvero che solo uno stato regolato da filosofi può essere considerato etico e governare con fine educativo formando cittadini retti.
Più avanti Aristotele, a sua volta allievo di Platone, dedicò molti dei suoi scritti alla questione etica scrivendo 'etica Nicomachea', 'etica Eudemia' e 'la grande etica'.
Identificava lo scopo dell'etica nell'eudemonia (nel linguaggio filosofico, la felicità intesa come scopo fondamentale della vita secondo la dottrina dell’eudemonismo http://www.treccani.it/vocabolario/eudemonia/), infatti l'uomo per conseguire la felicità deve coltivare la conoscenza e condurre una vita cercando una mediazione tra eccesso e mancanza.
C'è un passo dell'Etica Nicomachea che esprime molto bene quali siano gli intenti fondamentali di Aristotele, quando scriveva di etica: «...la presente trattazione non si propone la pura conoscenza, come le altre, infatti non stiamo indagando per sapere cos'è la virtù, ma per diventare buoni, perché altrimenti non vi sarebbe nulla di utile in essa.» (E.N. - II).
Lo scopo dell'etica aristotelica è la realizzazione di ciò che è il bene per il singolo individuo.
Egli non pensa che il fine dell'etica sia il raggiungimento del bene assoluto come lo intendeva Platone, di quell'idea del bene supremo principio della realtà e del mondo delle idee e quindi estraneo alla vita pratica dell'uomo. 
In generale, nel corso della storia, sono esistiti due filoni opposti e inconciliabili: il primo la ritiene come la scienza del fine cui l'azione umana è indirizzata e dei mezzi per giungere al fine, mentre la seconda come la scienza del movente della condotta umana e ricerca questo movente al fine di stabilire la condotta stessa.
E’ evidente la radicale differenza tra queste due posizioni. 
Se l’etica deriva da una fonte superiore all’uomo, il problema è di cercare di capire come da questa fonte si possa trarre una guida al comportamento che non sia soggetta ad opinioni e che non è suscettibile di cambiamenti. 
Se invece, l’etica è posta dall’uomo, l’uomo la può anche cambiare, è lui che decide, anche forzando ciò che sembrerebbe “naturale”. 
Ecco, ruotando intorno alle ultime due righe suddette, l'etica diviene artefice di questioni etiche rivolte ad ogni ambito in cui l'uomo di cimenta.
In genere, queste questioni riguardano delle scelte che dobbiamo prendere e pongono tre domande principali sempre :
-quale è la cosa giusta/buona da fare?;
-perchè devo/dobbiamo farlo?;
-come si possono risolvere i diversi punti di vista riguardo valutazioni morali diverse?.
Riflettendoci bene, torniamo anche oggi al solito discorso che veniva fatto nell'antica Grecia, ovvero "cos'è il bene?".
Definirlo in senso morale diviene, appunto, assai difficile.
In un celebre saggio del 1903 "Principia Ethica", il filosofo Moore cercò di dimostrare che è addirittura impossibile.
Ad incrementare quest'impossibilità si aggiunge anche la terza domanda suddetta che richiama l'inesistenza sofistica  di un bene comune a tutti e l'esistenza di un pluralismo etico.
Il filosofo Hugo Engelhardt, nel suo manuale di bioetica, approfondisce l'osservazione del pluralismo in cui viviamo e definendo l'umanità frammentata in comunità morali.
Egli conia una sua teoria "moral strangers" spiegando che le diverse comunità suddette hanno come unica possibilità di affermare norme con rilevanza etica solamente scendendo a compromessi.
Engelhardt arriva a negare, nel suo libro, anche ogni possibilità razionale  per distinguere comportamenti umani e disumani, e a confermare come Moore l'inesistenza del bene oggettivo.
Dunque, si potrebbe riassumere che il bene è pura questione soggettiva.
Questa soluzione viene appoggiata già dall'antichità, come dicevo, con Protagora; ma già messa in discussione da Platone nel "Teeteto"dicendo che se tutto fosse relativo, anche la frase di Protagora dovrebbe esserlo.
La vera rivoluzione è scoppiata nel settecento con l'etica utilitaristica da Thomas Hobbes.
L'individuo raccogli esperienze piacevoli e spiacevoli ed in base alla qualità del piacere ne costituisce un metro delle azioni
Diviene regola che la vita sociale deve essere basata sulla massima felicità del maggior numero di individui.
Rivoluzione molto esplicita in politica con il giungere delle democrazie, del suffragio universale e della libertà di pensiero.
Importante il libro "Saggio sulla libertà" di Mill, dove è l'utile che diviene l'unico metro di giudizio.
Il vero fondatore dell'etica moderna, però, rimane Immanuel Kant.
Dividendo la teoria dei costumi in dottrina di diritto e di virtù, quando l'uomo risponde ai doveri esterni (es.stato) e quando l'uomo risponde a quelli interni (coscienza "idios").
Esiste solo la ragion pura pratica, cioè una ragione trascendentale che esercita la funzione di legislatrice universale.
Vorrei far riferimento ad un ultimo filosofo, Hans Jonas, che parlando di bioetica si sofferma sul principio di responsabilità come fondamentale guida  per l'agire umano.
La concezione di un'etica autenticamente responsabile, presente in diversi teorici del Novecento, va acquistando crescente autorevolezza e visibilità sociale man mano che si sviluppa la consapevolezza collettiva riguardo al grande potenziale distruttivo accumulato dall'umanità.







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