STEP11) L'etica del covid-19

Il coronavirus non sta creando solo problemi sanitari e economici, ma anche dilemmi etici, cioè ci pone sfide significative su cosa sia giusto o sbagliato fare.


Cosa sarebbe stato giusto fare all'inizio della pandemia?
Come sarebbe stato giusto comunicare l'evolversi dell'epidemia?
Tutti ora siamo chiamati a una scelta etica: contribuire alle scelte politiche o combatterle. 

E le regole deontologiche della medicina?
L'etica della cura si è andata modificando.
Al principio zero: "fare il bene del paziente", si è aggiunto: "il rispetto dell'autodeterminazione della persona malata, che richiede informazione e consenso nelle scelte, e il principio di equità nella ripartizione delle risorse".
 Il movimento Choosing Wisely : “Non intubare pazienti fragili senza aver parlato con i familiari riguardo alle direttive anticipate del paziente, ogniqualvolta è possibile”.
Durante questa pandemia non si è quasi mai sentito parlare di "consenso del paziente e la raccolta delle sue preferenze" riguardo alle misure terapeutiche estreme, come se fossero un lusso che l’emergenza non ci permetteva di concederci. 
“Ogniqualvolta è possibile”, certo, ma anzitutto bisogna riconoscere all’autodeterminazione i suoi diritti.
E poi?
Chiudendo con una domanda fastidiosa...
Se in un ospedale è rimasto solo un posto in terapia intensiva e ci sono due pazienti a necessitarlo ugualmente differendo solo per l'età, a chi concedere il posto?



STEP10) JURASSIC PARK: LA CRITICA AL POTERE SCIENTIFICO


Scoprendo le leggi del mondo e il loro rapporto matematico, l’uomo ha compreso che poteva manipolare radicalmente la natura per perseguire i propri scopi.
Ora, è proprio qui che si inserisce la riflessione in Jurassic Park.
 Il libro e i film mostrano il micidiale conflitto tra natura contemplata e rispettata come principio e natura controllata e manipolata dal metodo scientifico.
Se Galileo Galilei ha messo nero su bianco il metodo della ricerca scientifica, Francesco Bacone ha intuito per primo il potere della scienza nelle mani dell’uomo.
La natura, in Jurassic Park, si ribella, come a dirci che siamo tutti animali e “l’animale uomo” non ha per niente il diritto di essere il dominatore incontrastato dell’universo.
Al netto della componente avventurosa e spettacolare della trama, Jurassic Park presenta molteplici spunti di riflessione sul tema del controllo e in particolare della dirompente forza dell’ingegneria genetica. La prefazione del libro recita: Negli ultimi decenni del ventesimo secolo si è verificata una febbre dell’oro scientifica di proporzioni inaudite: la furibonda e avventata corsa alla commercializzazione dell’ingegneria genetica. Questa impresa è stata portata avanti con tanta celerità, con un così scarno contributo di spiegazioni obiettive da precludere una piena comprensione della sua portata e delle sue implicazioni.
E ancora: La biotecnologia promette di essere la più grande rivoluzione nella storia dell’uomo. Entro la fine di questo decennio avrà di gran lunga sorpassato l’energia nucleare e i computer per quanto riguarda l’impatto sulla nostra vita quotidiana.





Bibliografia:

Glaucone, nella Repubblica

Come dice il Massareni a proposito del mito dell’anello di Gige: “agli uomini, infatti, piace apparire come giusti assai più che esserlo”.
E ancora: “la moralità e il rispetto delle leggi sono costruzioni sociali e la loro efficacia deriva dal timore del biasimo e delle punizioni”.





Il senso dell'etica


Dalla  distinzione e dalla relazione tra etica pubblica ed etica privata, tra soggetti ed oggetti dell'etica al metodo che ci permette di distinguerle, alla concezione del bene e alla domanda: "chi sono io?".
La politica è un'istituzione etica della polis?
Ci riconosciamo nelle nostre istituzioni etiche?
Abbiamo dei costumi?




STEP9) Arte e Politica





Ambrogio Lorenzetti.

Nella parete di sinistra, Allegoria ed effetti del Cattivo Governo; nella parete frontale, Al- legoria del Buon Governo; nella parete di destra, Effetti del Buon Governo in Città e in Campagna.

Siena, Palazzo Pubblico, Sala della Pace.

Realizzati tra 1338-1339.




Effetti del Buon Governo in città e in campagna.



Allegoria del Buon Governo.




Allegoria del Cattivo Governo.



STEP8) Dai dialoghi di Platone

Platone, Lachete : "che cos'è il coraggio?"
riflessione etica sul coraggio


    (194c) NI.: Ma Socrate, voi non riuscite a definire il coraggio perché non utilizzate un'idea che ti ho sentito esporre bene altre volte. SO.: E quale, Nicia?NI.: Ti ho sentito più volte dire che ciascuno  di noi è buono nelle cose che sa, e cattivo in quelle che non saSO.: Per Zeus, è vero, Nicia. NI.: Allora, se chi ha coraggio è buonoè chiaro che possiede la scienza del coraggioSO.: Hai sentito, Lachete? LA.: Sì, ma non capisco bene cosa intende. SO.: Io credo di capire e mi pare che intenda che il coraggio è una certa forma di scienza. LA.: Quale scienza, Socrate? SO.: Ma non è lui che vuoi interrogare?  LA.: Sì. SO.: Allora, Nicia, digli che forma di scienza intendi che sia il coraggio... NI.: Questa, Lachete: la scienza di ciò che si deve temere e di ciò che si deve osare, sia in guerra che in tutte le altre circostanze. (195a) [...] LA.: Ma questo è assurdo, Socrate! SO.: In che senso, Lachete? 
LA.: In che senso? Ma la scienza non c'entra nulla col coraggio. 
Nelle malattie, ad esempio, non sono i medici a sapere quel che c'è da temere? O ti sembra che siano i coraggiosi? O chiami coraggiosi i medici? 
NI.: Certo che no. [...] I medici sanno solo distinguere il sano dal malato; ma se per uno sia più da temere la malattia o la salute, questo non lo sanno... [...] 
SO.: Capisci ciò che vuol dire, Lachete? 
LA.: Io capisco che chiama coraggiosi gli indovini.
 Chi altri infatti saprà se è preferibile vivere o morire? [...]
      SO.: Vediamo, Nicia: tu affermi che il coraggio è la scienza di ciò che si deve temere e di ciò che si deve osare?

      NI.: Lo affermo. 
      SO.: E che non è da tutti conoscerla, se né il medico né l'indovino potranno conoscerla né essere coraggiosi, a meno che non aggiungano al loro sapere questa scienza. Questo volevi dire?  
      NI.: Questo, sì. 
      SO.: Allora è come dice il proverbio: non ogni scrofa può saperlo ed esser coraggiosa. [...]  
      LA.: Bene, per gli dèi, Socrate. Di' la verità, Nicia: le fiere, che riconosciamo coraggiose, sono più sapienti di noi, oppure osi, contro tutti, negare che abbiano coraggio? 
      NI.: Ma, Lachete, io non dico coraggiosi né le fiere né alcun altro essere che non tema ciò che va temuto per ignoranza; piuttosto, li chiamo temerari o pazzi... [...]
(     SO.: Bene, Nicia... Ma non sei d'accordo che le cose da temere sono i mali futuri e quelle da non temere i beni futuri? 
      NI.: Sì. 
      SO.: Ma la scienza che ha per oggetto le stesse cose è la stessa, siano esse future o di ogni altro tempo. 
      NI.: È così. 
      SO.: Allora, il coraggio non è solo la scienza di ciò che si deve temere e non temere, perché non conosce solo i beni e i mali futuri, ma anche quelli passati, presenti e di ogni tempo, come le altre scienze. 
      NI.: Così pare. [...] 
      SO.: Dunque, Nicia, il coraggio di cui parli non sarebbe una parte della virtù, ma la virtù tutta intera. 
      NI.: Sembra di sì. 
      SO.: Noi però dicevamo che il coraggio è una parte della virtù.  
      NI.: E' vero. 
      SO.: Allora, Nicia, non siamo riusciti a individuare che cosa sia il coraggio. 
      NI.: Evidentemente no. 
      LA.: E io che credevo che l'avresti scoperto, Nicìa, visto il tuo disprezzo per le risposte che io davo a Socrate.  
      NI.: Son contento che tu non dia peso alla figura che hai fatto, di non sapere nulla sul coraggio, ma lo dia al fatto che io mi trovi nella stessa situazione... 
     LA.: lo invece consiglierò a Lisimaco e a Melesia di lasciarci perdere entrambi e di rivolgersi a Socrate per l'educazione dei figli.

STEP7) Un'etica del lavoro: lavorare è la cosa giusta

La creazione di un’etica del lavoro ha valore a livello collettivo: dalla necessità di lavorare segue il dovere di lavorare bene, e lavorare bene implica seguire una serie di regole che pertengono non solo al lavoro in sé, ma anche al lavoro all’interno di una comunità, ovvero al lavoro come regola comportamentale.
Ed ecco quindi l’esortazione al lavoro che a più riprese è ribadita nel testo di Opere e giorni (Ἔργα καὶ Ἡμέραι). 
Un esempio emblematico della centralità del lavoro nel sistema dei valori sociali tematizzati da Esiodo sono i versi 299-316: qui all’esortazione iniziale («lavora, Perse!») segue l’illustrazione dei vantaggi che il lavoro presenta: vantaggi concreti in termini materiali (= allontanamento della fame e della miseria) e sociali (= apprezzamento del lavoro da parte di dèi e uomini):
"lavora, Perse, luminosa stirpe!, affinché Fame ti
odi e ti ami Demetra dalla bella corona,                                                
degna di rispetto, e il tuo magazzino riempia di viveri;
infatti Fame sempre è compagna dell’uomo inoperoso;
di lui si risentono uomini e dèi: di chi inoperoso
vive, simile d’indole ai fuchi inermi,
che la fatica delle api consumano inoperosi                                        
mangiando; a te sia caro preparare opere adeguatamente,
perché i tuoi magazzini siano pieni di viveri in ogni stagione.
Grazie alle opere gli uomini sono ricchi di greggi e benestanti,
e chi lavora molto più caro agli immortali
[e agli uomini sarà, ché molto odiano gli inoperosi.]                          
Nessun biasimo al lavoro; biasimo all’inattività.
Se ti metti all’opera, subito ti emulerà l’inoperoso,
poiché ti arricchisci: di ricchezza prestigio e rinomanza sono compagni.
Quale sia il tuo destino, è più vantaggioso lavorare,
se dai beni altrui l’animo folle                                                                
al lavoro volgendo del sostentamento ti curi, come io ti esorto".
Giacché bisogna lavorare, bisogna lavorare bene, perché il lavoro porta vantaggi: questo, in estrema sintesi, il ragionamento che porta dall’accettazione del lavoro alla sua valorizzazione etica.

STEP6) La letteratura da sempre ha tematizzato problemi di natura etica

I trattati politici medievali come il De monarchia di Dante Alighieri avevano come autorità quella religiosa, mentre la trattatistica quattrocentesca delineava un elenco di virtù morali di cui il principe doveva essere espressione. 
Macchiavelli nel Principe si chiede: è possibile fare politica senza sacrificare norme e valori morali considerati altrimenti validi?
Secondo gli autori dell'epoca, il buon principe è il sovrano moralmente retto, il principe cristiano che possiede virtù come generosità, liberalità, fortezza, prudenza o moderazione.
A questa pluralità di virtù morali, Machiavelli contrappone, la virtù al singolare, che indica non tanto una singola qualità del carattere, ma un certo tipo umano, un carattere nella sua totalità; ad esempio, quello che Cicerone aveva identificato appunto nel vir virtutis, nell’uomo di virtù, capace di attingere il più alto onore e la massima fama per mezzo di qualità che niente hanno a che fare con le virtù cristiane.

Nel capitolo XV egli afferma:  

"sendo l'intento mio scrivere cosa utile a chi la intende, mi è parso più conveniente andare drieto alla verità effettuale della cosa, che alla immaginazione di essa. E molti si sono immaginati repubbliche e principati che non si sono mai visti né conosciuti essere in vero; perché elli è tanto discosto da come si vive a come si doverrebbe vivere, che colui che lascia quello che si fa per quello che si doverrebbe fare, impara più tosto la ruina che laperservazione sua: perché uno uomo che voglia fare in tutte le parte professione di buono, conviene rovini infra tanti che non sono buoni. Onde è necessario a uno principe, volendosi mantenere, imparare a potere essere non buono, et usarlo e non usare secondo la necessità".

Si tratta di un individuo dotato di caratteristiche che possono non essere considerate necessariamente positive, anzi: desiderio di gloria presente e di fama futura, il desiderio di potere. 
Ma il vir virtutis possiede anche la capacità di saper leggere le circostanze in cui si trova ad agire, di cogliere l’occasione vincente e di perseguire i suoi scopi con decisione e senza preoccuparsi troppo del giudizio morale altrui, visto che in fondo quello che conta è il successo, come Machiavelli non si stanca di sottolineare, ed è in base ad esso che saremo giudicati nel presente e nel futuro.
Quindi il Machiavelli afferma che l’azione politica non può essere giudicata sulla base di criteri morali, ma obbedisce a criteri suoi propri, quelli degli specula principum (http://www.treccani.it/enciclopedia/specula-principum-in-eta-moderna_%28Enciclopedia-Costantiniana%29/), non a una possibile etica delle istituzioni e ciò non significa, che non esista per lui un’etica propriamente politica, nel senso di quell’insieme di valori propri di una comunità che definiscono un modello di vita ideale per i suoi cittadini.

"Et io so che ciascuno confesserà che sarebbe laudabilissima cosa uno principe trovarsi di tutte le soprascritte qualità, quelle che sono tenute buone: ma, perché non si possono avere né interamente osservare, per le condizioni umane che non lo consentono, li è necessario essere tanto prudente che sappia fuggire l'infamia di quelle che li torrebbano lo stato, e da quelle che non gnene tolgano guardarsi, se elli è possibile; ma, non possendo, vi si può con meno respetto lasciare andare. Et etiam non si curi di incorrere nella infamia di quelli vizii sanza quali possa difficilmente salvare lo stato; perché, se si considerrà bene tutto, si troverrà qualche cosa che parrà virtù, e seguendola sarebbe la ruina sua; e qualcuna altra che parrà vizio, e seguendola ne riesce la securtà et il bene essere suo".

Riassumendo appunto, non è qualsiasi fine che giustifica l’uso dei mezzi più contrari alla morale tradizionale, ma soltanto un certo tipo di fine: quello legato al raggiungimento di una fama eterna.
Ma come dare sostegno all' affermazione per cui in Machiavelli ci sarebbe un’etica politica che lo porta a giustificare la violazione di norme morali solo a condizione che ciò contribuisca alla gloria di una repubblica o di un principato?
L'opposizione tra politica e morale in Machiavelli fu analizzata da Benedetto Croce che in un saggio del 1924, sosteneva che Machiavelli "scopre la necessità e l'autonomia della politica… che è al di là, o piuttosto di qua , dal bene o dal male morale"
Più tardi, nel 1949, ritornando sullo stesso argomento, Croce vedrà  nel pensiero di Machiavelli  due autonomie: quella della politica e quella della morale, la ricerca di equilibrio tra ethos e kratos (etica e potenza).



Jacques Monod: una nuova etica

Jacques Monod La conoscenza è stata sempre il primo passo per l'agire, per l'etica . Oggi che la scienza ci offre una nuo...