STEP8) Dai dialoghi di Platone

Platone, Lachete : "che cos'è il coraggio?"
riflessione etica sul coraggio


    (194c) NI.: Ma Socrate, voi non riuscite a definire il coraggio perché non utilizzate un'idea che ti ho sentito esporre bene altre volte. SO.: E quale, Nicia?NI.: Ti ho sentito più volte dire che ciascuno  di noi è buono nelle cose che sa, e cattivo in quelle che non saSO.: Per Zeus, è vero, Nicia. NI.: Allora, se chi ha coraggio è buonoè chiaro che possiede la scienza del coraggioSO.: Hai sentito, Lachete? LA.: Sì, ma non capisco bene cosa intende. SO.: Io credo di capire e mi pare che intenda che il coraggio è una certa forma di scienza. LA.: Quale scienza, Socrate? SO.: Ma non è lui che vuoi interrogare?  LA.: Sì. SO.: Allora, Nicia, digli che forma di scienza intendi che sia il coraggio... NI.: Questa, Lachete: la scienza di ciò che si deve temere e di ciò che si deve osare, sia in guerra che in tutte le altre circostanze. (195a) [...] LA.: Ma questo è assurdo, Socrate! SO.: In che senso, Lachete? 
LA.: In che senso? Ma la scienza non c'entra nulla col coraggio. 
Nelle malattie, ad esempio, non sono i medici a sapere quel che c'è da temere? O ti sembra che siano i coraggiosi? O chiami coraggiosi i medici? 
NI.: Certo che no. [...] I medici sanno solo distinguere il sano dal malato; ma se per uno sia più da temere la malattia o la salute, questo non lo sanno... [...] 
SO.: Capisci ciò che vuol dire, Lachete? 
LA.: Io capisco che chiama coraggiosi gli indovini.
 Chi altri infatti saprà se è preferibile vivere o morire? [...]
      SO.: Vediamo, Nicia: tu affermi che il coraggio è la scienza di ciò che si deve temere e di ciò che si deve osare?

      NI.: Lo affermo. 
      SO.: E che non è da tutti conoscerla, se né il medico né l'indovino potranno conoscerla né essere coraggiosi, a meno che non aggiungano al loro sapere questa scienza. Questo volevi dire?  
      NI.: Questo, sì. 
      SO.: Allora è come dice il proverbio: non ogni scrofa può saperlo ed esser coraggiosa. [...]  
      LA.: Bene, per gli dèi, Socrate. Di' la verità, Nicia: le fiere, che riconosciamo coraggiose, sono più sapienti di noi, oppure osi, contro tutti, negare che abbiano coraggio? 
      NI.: Ma, Lachete, io non dico coraggiosi né le fiere né alcun altro essere che non tema ciò che va temuto per ignoranza; piuttosto, li chiamo temerari o pazzi... [...]
(     SO.: Bene, Nicia... Ma non sei d'accordo che le cose da temere sono i mali futuri e quelle da non temere i beni futuri? 
      NI.: Sì. 
      SO.: Ma la scienza che ha per oggetto le stesse cose è la stessa, siano esse future o di ogni altro tempo. 
      NI.: È così. 
      SO.: Allora, il coraggio non è solo la scienza di ciò che si deve temere e non temere, perché non conosce solo i beni e i mali futuri, ma anche quelli passati, presenti e di ogni tempo, come le altre scienze. 
      NI.: Così pare. [...] 
      SO.: Dunque, Nicia, il coraggio di cui parli non sarebbe una parte della virtù, ma la virtù tutta intera. 
      NI.: Sembra di sì. 
      SO.: Noi però dicevamo che il coraggio è una parte della virtù.  
      NI.: E' vero. 
      SO.: Allora, Nicia, non siamo riusciti a individuare che cosa sia il coraggio. 
      NI.: Evidentemente no. 
      LA.: E io che credevo che l'avresti scoperto, Nicìa, visto il tuo disprezzo per le risposte che io davo a Socrate.  
      NI.: Son contento che tu non dia peso alla figura che hai fatto, di non sapere nulla sul coraggio, ma lo dia al fatto che io mi trovi nella stessa situazione... 
     LA.: lo invece consiglierò a Lisimaco e a Melesia di lasciarci perdere entrambi e di rivolgersi a Socrate per l'educazione dei figli.

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